Uno strumento abbastanza tipico, utilizzato per la tutela del know-how aziendale nei confronti dei propri dipendenti, è il così detto Patto di Non Concorrenza.
Il codice civile, all’art.2105, prevede per ogni lavoratore il vincolo dato dal non divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o a farne uso in modo da poter recare un qualche pregiudizio.
Alle volte però ci può essere l’esigenza di rafforzare la tutela del proprio Know-how, ecco quindi che viene in soccorso delle aziende la possibilità di stipulare specifiche clausole di riservatezza e soprattutto patti di non concorrenza.
Il codice civile disciplina specificamente il P.N.C., all’art.2105, quale patto a prestazioni corrispettive a titolo oneroso, grazie al quale, in cambio dell’impegno del lavoratore a non svolgere attività concorrenziale per un tempo successivo alla cessazione del rapporto, il datore di lavoro si impegna a corrispondere una somma di denaro predeterminata.
La prima valutazione da fare è che tramite il P.N.C. deve essere correttamente bilanciato l’interesse dell’azienda a non vedere divulgati alla concorrenza i propri segreti industriali e commerciali, con l’’interesse del lavoratore a poter esercitare liberamente la propria professionalità acquisita.
Un P.N.C. deve necessariamente essere stipulato in forma scritta e contenere: la durata temporale, l’oggetto, l’ampiezza territoriale in cui esplica i suoi effetti, il corrispondente valore economico da erogare al lavoratore e l’eventuale penale cui soggiace il lavoratore inadempiente.
La durata del P.N.C: non può superare i TRE anni, estendibile comunque a CINQUE per i dirigenti e può essere stipulato in qualsiasi momento, sia durante il rapporto di lavoro, sia contestualmente o successivamente alla cessazione.
La limitazione geografica deve essere espressamente identificata, formule generiche quali “tutto il mondo”, “l’Europa” rischiano di rendere nullo il P.N.C. – e comunque deve ricomprendere territori che effettivamente abbiano un interesse legittimo per l’azienda ad essere tutelati dalla concorrenza (una azienda che lavora esclusivamente nel Veneto, in linea di massima non può vincolare il dipendente a tutto il territorio italiano).
Attenzione anche all’oggetto della prestazione vincolata dal P.N.C:, non può essere così ampio da inibire qualsiasi attività futura del lavoratore, quindi il patto deve prevedere quali siano le mansioni che non possono essere svolte dal lavoratore presso altro datore, mansioni che comunque devono lasciare un sufficiente margine di libertà lavorativa.
Il P.N.C. deve prevedere, a favore del lavoratore, il pagamento di un corrispettivo, che deve sempre essere congruo rispetto all’oggetto del patto, alla sua durata ed alla vastità del territorio previsto.
Non esiste una cifra corretta, in via generale la giurisprudenza ha ritenuto congrui corrispettivi parametrati al 15%-35% della retribuzione.
L’importo può essere erogato al lavoratore sia in corso di rapporto di lavoro sia al suo termine, però giurisprudenza maggioritaria ritiene inammissibile un P.N.C. il cui corrispettivo varia al variare della durata del rapporto stesso.
Se il P.N.C. è erogato in costanza del rapporto di lavoro, deve necessariamente essere assoggettato sia a contributi Inps, sia a tassazione ordinaria. Se il P.N.C. è erogato successivamente alla cessazione del rapporto, giurisprudenza maggioritaria è sempre più propensa a ritenerlo assoggettato a contributi in ogni caso e a prescindere, con applicazione però della tassazione separata.
In conclusione, considerando che non è poi così difficile per il lavoratore aggirare il vincolo dato dal P.N.C., si deve suggerire che si tratti oramai più di un deterrente psicologico che di un vero e proprio patto atto a limitare la futura libertà di andare alla concorrenza; forse, visto anche l’esborso economico, vale la pena valutare altre forme di fidelizzazione del dipendente.
L’argomento è stato qui trattato volutamente in modo sintetico e semplificato, ad uso esclusivo dei clienti dello studio.