Sono passati tre giorni dal 15 ottobre, data in cui è entrato in vigore l’obbligo di possedere ed esibire, su richiesta, il green pass anche nei luoghi di lavoro; la platea di persone coinvolte è stata in questo modo allargata a decine di milioni di italiani.
Tutto sommato, a sentire in giro, sembra che sia andata bene, le aziende hanno organizzato, anche se all’ultimo momento a causa di norme frenetiche e confuse, i controlli e le relative procedure.
La maggior parte dei lavoratori si è comportata correttamente, rispettando di buon grado le nuove regole e dotandosi di green pass.
Sono emersi però diversi fenomeni che vale la pena monitorare per comprenderne, nei prossimi giorni, la vera portata.
Sicuramente i più esecrabili sono i certificati di Malattia dell’ultimo momento, molto probabilmente richiesti ad hoc per evitare l’allontanamento forzato e la perdita di retribuzione; si tratta di “mal di pancia” improvvisi, situazioni di “forte stress emotivo”, patologie di varia natura, avvallate da medici che probabilmente non hanno ben chiara la situazione.
Altro fenomeno degno di nota riscontrato è la difficoltà, in certi comuni, a trovare dove poter effettuare il tampone, causando lunghe code davanti le farmacie e costringendo i lavoratori a riorganizzare continuamente la propria giornata.
Molte persone che hanno scelto di non fare il vaccino e quindi di affidarsi al tampone per l’accesso in azienda, hanno dovuto programmare da qui a fine anno le richieste di permessi, per potersi recare ogni 48 ore a fare il tampone.
In alcuni casi sono risultati invalidi certificati verdi a fronte di situazioni limite quale ad esempio il tampone fatto in giornata ma non ancora caricato sul portale del Ministero della Salute, in un caso il lavoratore facendo la seconda dose del vaccino si è trovato invalido il green pass che fino al giorno prima funzionava.
Per i casi limite sembrerebbe esserci una apertura normativa dell’ultimo minuto; infatti, i lavoratori possono comunque utilizzare documenti cartacei rilasciati dalle strutture sanitarie, che attestano di essere in regola, anche con esito negativo della verifica del green pass.
Altro caso limite che si è notato è quello dei fattorini che consegnano posta o piccoli pacchi, entrano, consegnano e se ne vanno; la norma pedissequamente prevederebbe il controllo del green pass anche a queste figure, il buon senso invece fa agire le aziende con meno solerzia.
La norma non fa distinzioni, che si tratti della Pirelli o della piccola bottega sotto casa, le procedure da mettere in piedi sono le stesse; si ritiene comunque che quando la nomina di verificatore è in capo al titolare di ditta individuale, all’amministratore unico, al socio lavoratore della Sas o di Snc, non serva una “nomina formale” cioè scritta.
Un punto fermo che bisogna aver ben presente è che nessun documento, cartaceo o digitale, deve essere raccolto, conservato o trattato dalle aziende; questo significa che a fronte di documentazione presentata dai lavoratori, le aziende sono tenute unicamente a prenderne atto.
Risulta leggermente anacronistica ed inutile la possibilità, prevista da governo con altro decreto-legge, di chiedere nel pubblico impiego ai lavoratori di dichiarare il possesso del green pass valido, con massimo 48 ore di anticipo.
Il limite delle 48 ore doveva essere previsto anche per le aziende private, per fortuna però al momento non ne risulta traccia. Nessuna seria programmazione aziendale può essere messa in piedi con un lasso di tempo così minimo, basti pensare ad un pubblico esercizio, ad un negozio, che deve rivedere continuamente i turni di lavoro per non rischiare di vedersi la saracinesca chiusa.
Infine, fa sorridere che l’obbligo, sia documentale che procedurale, è previsto in quelle attività dove magari è presente solo il titolare ed un lavoratore; controllo quotidiano del green pass e registrazione anche se “a voce” si è perfettamente a conoscenza che il lavoratore ha fatto i vaccini.
L’argomento è stato qui trattato volutamente in modo sintetico e semplificato ad uso esclusivo dei clienti dello studio, di conseguenza, non costituisce un parere giuridico né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza specifica.