“Il più grande spreco nel mondo è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.” (Ben Herbster)
Nel mondo del lavoro, come nella vita, si ricercano sistematicamente situazioni dove l’abitudinarietà e la ripetizione possano far sentire la singola persona al sicuro, in pratica la ricerca costante di uno stato di benessere fatto di routines quotidiane che allontanino lo stress e l’ansia.
È nella natura umana cercare una confort-zone, un luogo mentale (anche) professionale che possa dare la sensazione di aver tutto sotto controllo all’interno di un ciclo lavorativo ripetitivo e costantemente prevedibile.
E, come si sa, uscire dalla propria zona di confort porta all’aumento inevitabile dei dubbi, della sensazione di rischio, di incertezza; porta però anche alla possibilità di migliorare, di affrontare nuove sfide e provare nuove strade, di imparare nuovi metodi di lavoro.
Ecco quindi, il grande dilemma, cercare nuove strade o rimanere ancorati alla sicurezza abitudinaria.
Se guardiamo in internet “confort-zone” troviamo moltissimi post che ne parlano come di uno stato di tossicità aziendale, fatto di abitudini che tengono tutti fermi al palo, privo di stimoli ed interessi, in pratica aziende che hanno i propri dipendenti in uno stato di zombie generalizzato.
Ed ecco che compaiono infiniti consigli per come uscirne, vie di fuga da applicare pedissequamente per ritrovare creatività, produttività, problems solving.
D’altra parte, i lavoratori che si muovono all’interno di un cerchio protetto, dove la certezza delle loro azioni è data da una costante e continua ripetizione, danno all’azienda e ai suoi collaboratori quella fiducia di essere una macchina ben oliata dove ognuno sa esattamente quale sia il proprio ruolo e la direzione in cui andare.
Siamo quindi così sicuri che sia così negativa la confort-zone? Non è che uscendone rischiamo di cadere in una panic-zone?
La verità è che nel mondo del lavoro si deve sempre trovare il giusto equilibrio tra abitudinarietà e novità, i cambiamenti non devono mai essere repentini improvvisi o violenti, ma contemporaneamente non si deve mai rimanere in stasi totale.
La corretta soluzione è data dal concepire le giornate lavorative come un flusso lento ma continuo, conquistare spazi di tranquillità per poi lentamente e costantemente uscirne tutti insieme verso altri spazi di confort.
Si tratta di una azione quasi impercettibile, tranne per chi la dirige, richiede infatti che all’interno dell’azienda vi sia sempre chi abbia una visione ben precisa delle direzioni che vanno prese e di come muovere i propri collaboratori per seguirne il percorso.
Come si può fare, quali strategie vanno messe in campo per muovere tutti fuori dalla propria zona di sicurezza senza scardinare il funzionamento dell’azienda, traghettando i lavoratori in una nuova zona di confort migliorativa della precedente?
Si tratta di ragionare sempre in termini di piccoli passi, che permettano a tutti di riadattarsi prima di procedere con un nuovo passo.
Vogliamo fare un esempio concreto? la tecnologia corre a velocità stratosferiche, è materialmente impossibile stare al passo con tutte le novità. Questo però non significa che si debba rimanere ancorati alla macchina da scrivere, alla calcolatrice ed alla carta stampata.
Quindi, un buon direttore d’orchestra aziendale introduce le innovazioni tecnologiche per fasi, abituando di volta in volta tutta la squadra al cambiamento, monitorandone i risultati, per poi introdurre un ulteriore step del cambiamento tecnologico. Lentamente ma costantemente.
L’argomento è stato qui trattato volutamente in modo sintetico e semplificato ad uso esclusivo dei clienti dello studio, di conseguenza, non costituisce un parere giuridico né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza specifica.