"Il mondo è pieno di persone che vogliono raccogliere i frutti di alberi che non hanno mai piantato" (cit.)
Alla base di ogni rapporto di lavoro subordinato troviamo l’obbligo di diligenza, ovviamente nulla ha a che fare con i tempi del far west e gli assalti alla diligenza…
Si tratta invero di uno dei doveri che vincolano il lavoratore all’azienda, così come previsto dal codice Civile “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”.
La diligenza rappresenta l’attenzione, la scrupolosità, la modalità tecnico-pratica, che viene richiesta al lavoratore per svolgere correttamente la propria mansione e, in via più generale, il suo rapporto all’interno dell’azienda.
Ma non solo, secondo alcune sentenze, nella diligenza rientra anche il comportamento che il lavoratore tiene al di fuori del luogo di lavoro (ad esempio l’obbligo di farsi trovare a casa in malattia nelle fasce di reperibilità rientra nell’obbligo di diligenza).
Da una parte quindi grazie alla diligenza del dipendente si sviluppa l’interesse dell’impresa, ma in seconda battuta si realizza anche l’interesse della produzione nazionale; Insomma, una specie di idea dei lavoratori come formichine che nel loro complesso aiutano a far funzionare tutto lo stato Italiano.
Non esiste però una sola idea di diligenza, la stessa infetti deve necessariamente essere parametrata alla natura della prestazione svolta, cioè alle mansioni effettive e, contemporaneamente, va pesata in base alla preparazione ed esperienza del lavoratore.
Cosa significa? Significa che ogni volta che si passa di livello un dipendente, giuridicamente gli si sta chiedendo anche una maggiore diligenza rispetto al livello che aveva prima.
Quello che però effettivamente interessa è esattamente l’opposto, cioè quando un lavoratore, non adempiendo alla prescrizione della norma, attua un comportamento negligente, ovvero quando le sue azioni sono frutto di imprudenza o sono condotte che rispetto alla comune esperienza risultano inadeguate tecnicamente.
Altro passaggio importante da avere presente è che la diligenza, o meglio la negligenza, rappresenta la “colpa” del lavoratore, che può esserci anche in presenza di buona fede; questo porta a chiederci se può essere licenziato se “non lo ha fatto apposta”?
La mancanza di malafede in un atteggiamento negligente del lavoratore, secondo i giudici può essere considerato attenuante, ma comunque può portare al licenziamento, se ed in quanto l’impegno e l’attenzione risultano direttamente connessi alla volontà di lavorare.
Ricordiamoci, infine, che l’unico strumento previsto nella norma italiana per contestare ad un lavoratore l’eventuale sua negligenza al lavoro, è la procedura disciplinare.
L’argomento è stato qui trattato volutamente in modo sintetico e semplificato ad uso esclusivo dei clienti dello studio, di conseguenza, non costituisce un parere giuridico né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza specifica.