“La mano che fa dondolare la culla è la mano che regge il mondo”. (William Ross Wallace)
La nostra bellissima Costituzione è sempre stata più moderna e all’avanguardia di quanto lo siano tutti i governi venuti dopo, basti citare l’articolo 37:
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Vogliamo oggi soffermarci un attimo sul concetto di adeguata protezione alla madre e al bambino, nello specifico per quanto riguarda il mondo del lavoro.
Tutti conosciamo il diritto/obbligo di usufruire della maternità obbligatoria, così come tutti conosciamo il diritto alla maternità facoltativa (congedo parentale) o all’allattamento; meno conosciuta invece è la facoltà concessa dalla norma in merito al Part time.
Infatti, la lavoratrice può chiedere in sostituzione del congedo parentale, la trasformazione a tempo parziale del rapporto, purché con una riduzione d’orario non superiore al 50%; l’azienda è obbligata a procedere con la trasformazione entro e non oltre 15 giorni dalla richiesta.
Per quanto tempo? La trasformazione a part time dura tanto quanto il congedo facoltativo o per l’eventuale periodo residuo se parzialmente già usufruito; facoltà da esercitarsi comunque entro i 12 anni di vita del bambino.
Tutto qui? Si, normativamente tutto qui, poi i singoli Contratti collettivi possono disciplinare ulteriori tutele, prevedendo un prolungamento del periodo ad orario ridotto per la lavoratrice.
Prendiamo in considerazione, ad esempio, il CCNL terziario commercio, viene prevista la possibilità di richiedere l’orario parziale a seguito della maternità e il datore di lavoro non può rifiutarsi, per tutto il periodo successivo al parto e fino al compimento dei tre anni del bambino.
Ma anche senza la necessità di scomodare i CCNL, le singole aziende possono prevedere politiche di flessibilità aumentata per le lavoratrici in maternità.
Quello che per il datore di lavoro è un mero costo dato dall’assenza della lavoratrice, deve essere “RI-pensato” come una opportunità; agevolazioni specifiche che da una parte permettano l’adempimento di quanto previsto dalla costituzione, ma dall’altro siano delle best practices a tutela della genitorialità.
Cosa ci guadagna l’azienda? Avere lavoratrici che possono svolgere a pieno il loro ruolo di madre, in un periodo fondamentale come i primi anni di vita del bambino, significa lavoratrici felici, significa creare maggiore attaccamento all’azienda che le tutela.
Welfare non significa solamente concessioni in cambio di sgravi fiscali, ma creare politiche di inclusione sociale, di maggiore tutela delle reali esigenze dei singoli, creando un circolo positivo che alla fine porta reali benefici all’azienda stessa.
L’argomento è stato qui trattato volutamente in modo sintetico e semplificato ad uso esclusivo dei clienti dello studio, di conseguenza, non costituisce un parere giuridico né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza specifica.