“Nuove lettere di licenziamento: «La informiamo che dal mese prossimo lei uscirà dalla monotonia»”. (Lia Celi)
Questione molto delicata, da affrontare sempre con le pinze. Come professionisti possiamo solamente dire che ogni singolo caso ha vita propria, da affrontare con oculatezza e buon senso, tenendo conto di tutte le circostanze.
Partiamo dalla norma introdotta nel 2015 (ma anche la precedente norma lo prevedeva): “il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.
Parole forti e molto chiare del legislatore, le variazioni dell’orario di lavoro tra azienda e lavoratore vanno sempre concordate tra le parti, non può mai essere un atto unilaterale del datore che lo impone.
Di più, non si può licenziare il lavoratore in caso di rifiuto alla modifica oraria, in quanto si tratterebbe di una ritorsione del datore di lavoro, con la conseguenza che il licenziamento sarebbe nullo.
Però, c’è sempre un però, se il rifiuto alla trasformazione dell’orario, interagisce con quelle che sono le libere scelte imprenditoriali, la questione cambia.
Si pensi ad un negozio aperto tutto il giorno con un dipendente a tempo pieno, che decide che da domani aprirà solo al pomeriggio; l’eventuale rifiuto del lavoratore ad adeguare il proprio orario riducendo il proprio monte ore settimanale, creerebbe una discrasia o, meglio, un paradosso.
Avremmo un dipendente a disposizione 8 ore al giorno e pagato per tali ore, che però potremmo utilizzare solo per 4.
Questa situazione è stata recentemente affrontata dai giudici di cassazione che, accogliendo il ricorso dell’azienda, hanno ritenuto corretto il licenziamento.
Nei precedenti gradi di giudizio infatti i giudici, partendo dal divieto normativo, hanno sindacato la scelta imprenditoriale; correttamente avrebbero invece dovuto verificare la dimostrazione (a carico del datore) che il licenziamento era l’unica soluzione organizzativa possibile.
Non è quindi un divieto assoluto quello posto dalla legge, ma tutela il lavoratore dai casi di licenziamento disciplinare, quindi ritorsivo, fatto puramente a fronte del solo rifiuto e senza la presenza di ragioni oggettive.
Concludiamo ricordando che è sempre consigliabile che le variazioni dei patti tra azienda e lavoratore, siano poste per iscritto, anche quando basterebbe solo la parola ed i fatti concludenti tra le parti. Un bel atto scritto salva entrambi da potenziali incomprensioni successive.
L’argomento è stato qui trattato volutamente in modo sintetico e semplificato ad uso esclusivo dei clienti dello studio, di conseguenza, non costituisce un parere giuridico né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza specifica.