“Sposarsi o non sposarsi non è importante, in ogni caso ti pentirai.” (Socrate)
In effetti può capitare che due persone decidano di unirsi in matrimonio, civile o religioso che sia, per coronare il loro sogno d’amore con un evento di ufficializzazione.
Ma quali diritti sorgono in capo alla lavoratrice ed al lavoratore che decidano di sposarsi? Hanno diritto al “congedo matrimoniale” ovviamente, cioè ad un permesso specifico retribuito e della durata di quindici giorni di calendario (salvo diverse previsioni del CCNL).
Proviamo ad entrare più nel dettaglio del congedo matrimoniale che, istituito per legge fin dal lontano 1937 per i soli impiegati, ha subito via via negli anni un allargamento fino a ricomprendere tutti i lavoratori, ma con discipline differenti.
Chi paga il congedo matrimoniale? Nel caso di lavoratori impiegati, il congedo è totalmente a carico dell’azienda secondo le disposizioni del CCNL applicato; per tutti gli altri lavoratori, una parte corrispondente ad otto giorni consecutivi (56 ore), viene coperta dall’Inps ed i rimanenti giorni rimangono a carico azienda.
Vige l’obbligo di preavviso, cioè il lavoratore deve preavvisare l’azienda almeno sei giorni prima per permettere la giusta riorganizzazione dell’attività lavorativa.
Normalmente il congedo deve essere preso a decorrere da uno o due giorni prima dalla data del matrimonio; se per motivi produttivi non sia possibile concedere il permesso nell’immediato, comunque il lavoratore deve poterne usufruire entro trenta giorni dal matrimonio.
Attenzione però, se il congedo è totalmente a carico dell’azienda, possono essere previsti accordi differenti, ad esempio concedendo il permesso anche a distanza di mesi dall’evento, per venire incontro anche a necessità dei lavoratori stessi.
Inoltre, entro i successivi sessanta giorni sposo/sposa dovrà far pervenire al datore il certificato rilasciato dal comune, attestante l’avvenuta celebrazione.
Importante, dal 2016 è stato chiarito per legge che il diritto al congedo matrimoniale vale anche per l’unione civile di persone dello stesso sesso.
Un dettaglio non trascurabile è che per matrimonio si intende sempre l’unione civile, e non quella meramente religiosa; diretta conseguenza è che civilmente ci si più sposare più volte e, pertanto, si avrà ogni volta diritto al congedo.
Un caso particolare è quello del lavoratore straniero proveniente da uno stato dove è ammessa la poligamia; In Italia avrà diritto all’importo del congedo per un solo matrimonio a carico Inps; quota azienda invece sarà a libera scelta dell’azienda stessa.
Chiudiamo questo capitolo ricordando che dal 1963 è previsto il divieto di licenziamento per causa di matrimonio dal giorno di richiesta di pubblicazione e per i 12 mesi seguenti la celebrazione; questo significa che ogni atto contrario è nullo.
Tale divieto vale unicamente per le lavoratrici donne (per espressa indicazione normativa); mentre in caso di licenziamento di un uomo nel periodo protetto, saranno i giudici, non sempre coerenti, a darci la risposta.
L’argomento è stato qui trattato volutamente in modo sintetico e semplificato ad uso esclusivo dei clienti dello studio, di conseguenza, non costituisce un parere giuridico né può in alcun modo considerarsi come sostitutivo di una consulenza specifica.